
La conciliazione in sede sindacale è spesso definita “tombale”, nel senso che le questioni riguardanti quel rapporto di lavoro (differenze retributive, mansioni, lavoro straordinario e tanto altro) non possono essere più rivendicate in sede giudiziale.
A determinate condizioni, tuttavia, l’accordo raggiunto in “sede protetta” può essere impugnato entro 180 giorni come qualsiasi altra transazione o rinuncia stragiudiziale.
I casi sono i seguenti:
- Classici vizi di “volontà”: errore, violenza e dolo (quest’ultimo comprende anche il “dolo malizioso”, Cass.8260/2017, che si configura quando il datore rappresenta al dipendente una situazione diversa da quella effettiva, o quando la firma dell’accordo avviene sotto minaccia di un danno).
- Patto “leonino”, quando viene corrisposta una somma indubbiamente “misera” rispetto alla rinuncia ad ogni rivendicazione connessa al rapporto di lavoro.
Una recente sentenza del Tribunale di Roma (n.4354 del 8 Maggio 2019) ha esteso notevolmente l’oppugnabilità del verbale di conciliazione:
- un verbale redatto in sede sindacale, può essere sempre impugnato dal lavoratore entro i 6 mesi successivi se:
1) non è prevista una specifica disciplina conciliativa nel contratto collettivo;
2) non è stata fornita una effettiva assistenza al lavoratore: il sindacalista, infatti, non può limitarsi a leggere il verbale, ma deve essere a conoscenza della intera vicenda, deve “soppesare” con i lavoratore i costi ed i vantaggi che derivano dalla stipula del verbale, rendendo l’interessato pienamente consapevole e cosciente delle conseguenze legale alla conciliazione.
Secondo i giudici di primo grado, infatti, il carattere dell’inoppugnabilità della conciliazione è del tutto eccezionale ed è espressamente riservata agli atti redatti con le specifiche modalità ex art. 2113, comma 4.